Segue da "Una vita" prima parte
Nell’estate del 1979 fu abitato il nuovo condominio. Avevo 10 anni e ricordo tutto di quell’estate epocale: la telefonata che ricevette la mia famiglia in cui ci comunicarono l’assegnazione di un alloggio popolare, tutte le famiglie allineate sul marciapiede in attesa di conoscere quale sarebbe stato il proprio appartamento, tutti i bambini che si guardavano curiosi (ogni famiglia aveva 2-3 figli, ma l’anno dopo arrivarono molti neonati in molte famiglie; sarà stata la felicità per la nuova casa a produrre l’aumento di marmocchi). Siamo stati fortunati come condominio popolare: nessuna famiglia disagiata, ma solo traslochi per trasferimento lavorativo o da case troppo piccole e disastrate per viverci (nel mio caso, entrambe: avvicinarsi al lavoro di papà, uscire da una casa fatiscente, dopo essere sopravvissuti ad un incendio…).
Questo ha fatto sì che i nostri genitori fossero tutti coetanei (età media 30-35 anni) e nel pieno della propria giovinezza, ed anche tutti noi bambini eravamo della stessa fascia di età tra i 10 ed i 14 anni. C’era qualche famiglia piemontese, alcune venete, ed un’invasione di famiglie pugliesi e napoletane. Queste ultime avevano l’abitudine di ascoltare Mario Merola dalla mattina alla sera, con la radio a tutto volume e le finestre spalancate, e la domenica… grande festa con tutte le famiglie originarie di Napoli e dintorni, riunite nello stesso appartamento per assistere assieme alla visione di film della sceneggiata napoletana (a cui a volte si aggiungevano dei pugliesi). Era estate, si vedeva e sentiva tutto, nessuno si nascondeva in casa, all’opposto c’era molto dialogo tra famiglie (come arredare la casa, la nuova scuola dei figli, le gravidanze multiple… sono cose che accomunano).
(A proposito di musica: si capii subito quanto io fossi diversa dagli altri bambini, perchè mi sentivo fortemente attratta dalle radio che trasmettevano la musica elettronica inglese. Ogni volta che penso a quell'anno mi viene in mente "Enola Gay", ad esempio, che ascoltavamo in casa a tutto volume. Purtroppo non potevo condividere con nessuno altro coetaneo la mia passione per l'estero e le altre culture, e questo fece si che con gli anni mi allontanai da loro facendo un percorso di vita completamente diverso)
Noi bambini giocavamo tutti assieme contemporaneamente. A ripensarci oggi, vista la denatalità attuale, mi rendo conto di quanto fossimo tanti, un piccolo popolo di bassa statura, molto rumoroso. Mentre i maschi giocavano a palla, le femmine saltavano con l’elastico. In gruppo giocavamo a frisbee, a rincorrerci, a nasconderci dietro gli alberi del grande giardino di fronte casa. Il secondo giorno che abitavo lì ebbi la mia prima esperienza di corteggiamento: due ragazzini, per conto di un terzo, mi fecero l’ambasciata se volevo fidanzarmi con quell’altro. Io, meravigliata risposi di no, per due motivi: uno non avevo idea di come fosse fatto fisicamente quello che mi voleva, due… io che piacevo ai maschi? Com’era possibile? Sicuramente era uno scherzo… (non ho mai brillato di autostima). Il giorno dopo anche A. tentò di baciarmi, e rifiutai pure lui: uno, era brutto lui, due, essere corteggiata da uno brutto non ha valore (da piccola pensavo già troppo). Devo precisare che sia M. che A. si sono poi trasformati in due bellissimi uomini molto corteggiati, super-sexy e superabbronzati (o meglio: lampadati, vista l’epoca). Alla data di oggi: M. è purtroppo morto in un incidente con la moto qualche anno fa, A. vive felicemente con due donne (un matrimonio a tre, io ancora non riesco a capire come ci sia riuscito, mah…). La mamma di G. voleva che mi fidanzassi con suo figlio, e ci ha sperato per anni (mai detto esplicito, ma si capiva da tutto ciò che diceva e faceva). Anche G. è diventato un bel ragazzo “lampadato”, diventando persino “stripper” per alcune discoteche. Alla data di oggi: la mamma di G. continua a parlarmi bene di suo figlio, male della nuora brasiliana (sua seconda moglie dopo la modella australiana), e sembra che voglia ancora tentare di fidanzarmi con lui.
Ma a me piaceva Carlo. Aveva i capelli lisci neri, magro, un modo elegante nel muoversi, non era molto loquace, era tranquillo con uno sguardo sereno e sorridente, aveva grandi occhi scuri che sembrava ti osservassero nel profondo, lo vedevo diverso dagli altri miei amichetti, più in sintonia col mio modo di essere. Con lui amavo andare in bici, facevamo lunghissime passeggiate insieme. A scuola eravamo nella stessa classe, abbiamo frequentato insieme la quinta elementare e le tre medie. Però, il periodo veramente felice con lui fu solo la prima estate. Poi io combinai due grossi guai e lui si allontanò da me. Il primo guaio fu che io gli distrussi la bicicletta. Lui stava tornando da un giro in bici con il padre, ed io dalla gioia di rivederlo gli andai incontro pedalando a tutta velocità, ma poi persi il controllo del mezzo, fui maldestra, non frenai, e centrai in pieno lui e la sua bici. Cademmo a terra entrambi. Io mi rialzai un po’ dolorante, ma con la bici intera, la sua bicicletta, all’opposto, aveva la ruota completamente ripiegata su se stessa. Subii lo sguardo furioso di suo padre, ma questo fu nulla rispetto a quello che accadde un paio di giorni dopo… Stavamo giocando a rincorrerci, ridevamo contenti, ma il gioco si fece sempre più veloce e aggressivo, perché lui mi prendeva sempre ed io mi divincolavo, ma ogni volta lui aumentava la forza della presa ed io mi sganciavo sempre più aggressiva, fino a quando la sua presa fu così forte, che io per sganciarmi da lui istintivamente gli tirai un grosso calcio… un fortissimo e violento calcio in mezzo alle gambe! Carlo cadde a terra, divenne rosso in faccia e urlò. Io mi spaventai vedendo suo padre venire a soccorrerlo, ma non capii realmente ciò che era successo. Comunque il calcio non fu così grave, perché l’indomani Carlo scese giù a giocare… ma con gli altri amichetti, a me non rivolse mai più la parola. Timida come sono, accettai a testa bassa e rimasi a giocare con le mie amiche e non lo cercai più.
Nei tre anni delle scuole medie lui si sedette in banchi lontano da me. Condividevamo gli allenamenti a pallavolo, ma le sue attenzioni non furono mai per me, io da lui ricevevo solo sguardi generici. Finita la terza media seppi che si era fidanzato con una mia compagna di classe: era una ragazza molto carina, capelli chiari, magra, ben educata e fine nei movimenti. Da allora io l’ho sempre osservato di lontano, e crescendo si era fatto un bel ragazzo. Il suo stile nel vestire era casual, alla James Dean per farvi un esempio. Era il tipo che indossava solo jeans blu scuro, t-shirt nere, un braccialetto di cuoio nero al polso, capelli corti neri, ma non troppo, erano lisci con la riga in mezzo. Camminava dritto, aveva bei movimenti sicuri, lo trovavo sexy… Dalla fine della scuola non ci siamo mai più parlati, e potevo solo osservarlo di lontano. Ma non pensate che io fossi innamorata di lui, purtroppo mi sono dovuta disilludere in fretta, però quando lo guardavo mi domandavo come si fa a far innamorare un ragazzo così, e mi sentivo piccola piccola, incapace di piacere a qualcuno.
(segue)
Amanda
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